Il signor nessuno, olio su tela 2007 - Gianluca Salvati |
venerdì 14 giugno 2013
Sosteneva Pier Paolo Pasolini - PPP e il potere in Italia di Leonardo Sciascia
[...] Prima che in questo articolo - pubblicato sul Corriere il 1° febbraio 1975 col titolo Il vuoto del potere in Italia e poi raccolto negli Scritti corsari col titolo che la memoria di coloro che l'avevano letto ormai gli dava: L'articolo delle lucciole - Pasolini aveva parlato del linguaggio di Moro in articoli e note di linguistica (e si veda il primo Empirismo eretico). Ma qui, nell'articolo delle lucciole, la sua attenzione a Moro, al linguaggio di Moro, affiora in un contesto più avvertito e preciso, dentro una più vasta e disperata visione delle cose italiane.
"Come sempre - dice Pasolini - solo nella lingua si sono avuti dei sintomi". I sintomi del correre verso il vuoto di quel potere democristiano che era stato, fino a dieci anni prima, "la pura e semplice continuazione del regime fascista".
L'affaire Moro, Leonardo Sciascia (Sellerio editore)
sabato 8 giugno 2013
La Propaganda - La condanna del "faro" | Pietro Pansini - Roberto Marvasi
Per la querela Pansini
Il Ciccarese in pubblica udienza del 22 aprile ultimo, dopo avere nel periodo istruttorio, tenuto il contegno di cui già abbiamo parlato, affermò: "Io non posso provare quanto affermai contro il prof. Pietro Pansini e che forma oggetto della sua querela. L'amor proprio mi fece velo nel combatterlo perché era doluto di lui, che, a mia insaputa e senza alcuna necessità fece incarcerare mia madre nell'Ospedale della Vita, fornendo così ai miei nemici il destro per potermi definire un figlio ingrato. Ero pure doluto di lui, perché mi si fece credere che lui aveva voluto la pubblicazione del certificato penale a mio carico sulla Propaganda. Sono perciò dolente del disturbo creatogli e lo deploro".
Eguali dichiarazioni il Ciccarese costantemente ripetette nelle udienze successive, ogni volta che i risultati del dibattimento offrivano sempre più la prova della insensatezza degli addebiti fatti dal Ciccarese. E fu constatato perfino che questi - denunziato per l'ammonizione - potette scongiurare tale grave provvedimento contro di lui, principalmente per la testimonianza favorevole fattagli proprio dal prof. Pietro Pansini per il quale poi, il Ciccarese, mostrò la sua gratitudine, col vendicarsi con gli articoli diffamatori!
Per la querela Marvasi
Il Ciccarese in udienza, mentre ritrattava le accuse lanciate contro il prof. Pietro Pansini, riconfermava esplicitamente tutto, una per una, contro il nostro Roberto Marvasi, che, dopo questa pubblica discussione, ci è diventato ancora più caro. Egli ha conservato una calma ammirevole, tanto più perchè egli ha dovuto reprimere tutti gli scatti, giustissimi, della sua indole vivace, del suo temperamento ardente, del suo animo generoso e nobilissimo. Poche volte soltanto egli ha reagito, quando con qualche malignazione si cercava colpirlo alle spalle ed il suo santo risentimento trovava eco in tutte le anime oneste che assistevano al dibattito.
Il Ciccarese aveva indicato per deporre contro di lui come testimone, tutti coloro che dal Marvasi erano stati colpiti in modo sanguinoso per avere sempre egli - come depose l'avv. Salvi - accettato generosamente la responsabilità non soltanto degli atti suoi, ma di quelli del partito e del nostro giornale, cui egli consacra tanta parte della sua attività e del suo ingegno.
Enrico Leone, con una forma semplice e commovente, disse di lui cose lusinghiere assai, mettendo in evidenza la trasformazione subita dal Marvasi dal giorno in cui l'animo suo si è aperto alle ideali visioni del nostro partito. Perfino i testimoni avversari, coloro cioè che insistentemente, in tempi remoti o recenti, improvvisamente aggredirono il Marvasi, non potettero fare a meno di ammirare il coraggio del Marvasi che, aggredito energicamente, si difese. Né meno luminosa risultò la prova dei sacrifici fatti da lui nell'interesse del partito e durante la pubblicazione del suo giornale La Pecora.
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Il filosofo, Norberto Bobbio - Gianluca Salvati 1999 |
sabato 25 maggio 2013
L'elezione di Enrico De Nicola a Presidente della Repubblica | La baronessa Ottavia Penna
[...] Nel mondo dietro la porta chiusa - quello dei grandi giochi cifrati e coperti - siamo fermi al '46, quasi a settant'anni fa. Non è un'esagerazione, state a sentire.
Nel mese di giugno del '46 Guglielmo Giannini propose per il Quirinale una donna come "condanna di un mondo politico incancrenito". La cancrena, oggi si usa dire il cancro. Lei era Ottavia Penna da Caltagirone, nata baronessina Buscemi. Antifascista, eletta alla Costituente nella città culla della Dc: Mario Scelba se ne lamentò per lettera con Luigi Sturzo.
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don Luigi Sturzo |
C'erano
21 donne, 556 uomini in quell'assemblea. La baronessa da ragazza si
aggirava con un coltello, di notte, a tagliare i sacchi di grano che i
baroni della sua terra destinavano illegalmente al mercato nero anziché
all'ammasso. Altre notti prendeva le carni macellate dalle sue fattorie e
le portava agli indigenti. Aveva studiato al Poggio Imperiale, poi a
Trinità dei Monti.
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Ottavia Penna |
Anticomunista, monarchica. Giannini la candidò contro De Nicola, che ebbe l'80 per cento dei voti: gli mancarono quelli del partito repubblicano e i 32 andati ad Ottavia Penna.
Dal Giornale di Sicilia del 29 giugno 1946: "Molto commentati i voti che escono dall'urna in favore della deputata qualunquista siciliana. Guglielmo Giannini, con la sigaretta spenta tra le labbra, rientra nell'aula e salito al banco dove siede la candidata del gruppo s'inchina a baciare la mano della signora, per una singolare affermazione di qualunquismo designata alla presidenza". Una 'singolare affermazione' che il leader dell'Uomo qualunque spiegava così: "Una donna colta, intelligente, una sposa, una madre. L'abbiamo scelta per opporla alla tirannia dei tre arbitri della cosiddetta democrazia: costituisce per noi la condanna di un mondo politico incancrenito".
Dalla baronessa alla Iotti quel Colle del potere sempre proibito alle donne, Concita De Gregorio, la Repubblica 6/4/2013
giovedì 23 maggio 2013
Politica e mafia | Luigi Sturzo, fondatore del partito popolare, e il veto all' on. Gennaro Aliberti | Storia dell'intreccio politico mafioso
Nel 1921 don Luigi Sturzo, fondatore del partito popolare, oppone il suo veto all’inclusione dell’on. Gennaro Aliberti nella lista dei candidati alle elezioni politiche. L’Aliberti, dopo il rifiuto, passa a sostenere la lista fascista che in quelle elezioni fa la sua prima apparizione a Napoli, e a spingere le squadre del Padovani in particolare contro l’on. Degni e i popolari, il 12 maggio, durante un comizio al Politeama.
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don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare |
Il comizio
"Terminato il discorso: S.E. Degni con tutti i suoi, si è allontanato dal palcoscenico ed il teatro si andava svuotando quando i fascisti sono insorti per il mancato contraddittorio promesso e S.E. Degni, impavido, è ritornato al suo posto. Si sono, però, incrociati vivaci battibecchi fra fascisti e popolari. A questo punto S.E. Degni, rispondendo al capitano Padovani, che chiedeva insistentemente il contraddittorio, ha detto di volerlo concedere ai fascisti, ma mai a persona pagata da Aliberti, ciò che ha eccitato viepiù l’ambiente, accrescendo il tumulto. Allora S.E. Degni ha creduto opportuno allontanarsi ed ha potuto raggiungere la sua automobile ed andar via. I fascisti sono usciti dal teatro col preordinato intendimento di dare molestia e dileggiare i popolari al loro passaggio per piazza S. Maria degli Angeli. Infatti i fascisti, riunitisi in meno di un centinaio nei pressi della sede della loro associazione, non appena hanno visto i popolari che s’incamminavano in corteo, hanno fatto per slanciarsi loro addosso e strappare la bandiera bianca dalla quale erano preceduti, ma sono stati affrontati dalla forza pubblica che è riuscita a trattenerli, per modo che i popolari hanno potuto proseguire per la loro via". (Rapporto del questore al prefetto 21/05/1921 - A.S.N., Gab. Questura, fasc. 5494)
giovedì 2 maggio 2013
Politica e mafia | La causa Aliberti - 1799. Gennaro Aliberti - Eduardo Giacchetti - Pietro Pansini | Storia dell'intreccio politico mafioso
La causa Aliberti/1799
|| Aspettando l’udienza
Nonostante il caldo enorme, molto pubblico si addensa nel
vasto salone di Castelcapuano aspettando che giunga l’ora del secondo
spettacolo offerto dall’on. Giuoco Piccolo ai cittadini napoletani: uno
spettacolo che dopo un anno si rinnova oggi per colpa di quei magistrati dell8
sezione del nostro tribunale che l’anno scorso non seppero seguire il nobile
esempio di Raffaele de Notaristefani e con un’ambigua sentenza si astennero dall’imprimere sulla fronte del pallido criminale di
Massalubrense il marchio della condanna reclamata con voce concorde dalla
pubblica opinione e dalle risultanze di quel processo. Per colpa di quei
magistrati Gennaro Aliberti, recentemente investito un’altra volta della carica
di consigliere provinciale, può aggirarsi spavaldamente per i locali di
Castelcapuano, sicuro che i magistrati della corte di appello non smentiranno
le tradizioni della giustizia italiana, sanzionando la condanna inflitta all’onesto
Giacchetti. Infatti egli va coi suoi fidi Rota e Gattola Mondella, ostentando
la certezza del secondo trionfo. Ed anche oggi si fa seguire dai migliori
campioni della malavita della sezione Mercato, la quale ha voluto novellamente
testimoniare della solidarietà che la lega a don Gennarino e muovere al suo
soccorso. A completare il corteo manca per ora soltanto Simeoni, trattenuto
altrove forse per celebrare i consueti riti di Sodoma. Quando questi arriva,
don Gennarino gli va incontro tendendogli affettuosamente le mani come per
abbracciarlo, mentre lo stato maggiore camorristico, chiamato a raccolta per l’occasione
solenne, fa ala al loro passaggio, rendendo gli onori (diciamo cos tanto per
intenderci) ai due non troppo onorevoli personaggi.
|| Nell’aula
Alle due e un quarto, ciò dopo una
lunga attesa, l’usciere pronuncia con le sacramentali parole l’ingresso della
Corte. E subito dopo il presidente d la parola all’on. Pietro Pansini, il
quale, rifacendo brevemente la storia del processo, chiede all’accusa se
intende insistere sui motivi presentati all’ultim’ora, che escludono la facoltà
della prova. Dichiara al rappresentante il P.M. che, se la discussione della
prova fosse negata, i difensori saprebbero compiere il proprio dovere. Prosegue
dimostrando la necessità che in questo processo d’interesse pubblico sia fatta
ampia luce. Invita la Corte a decidere sulla limitazione della prova dicendo
che, nella coscienza popolare radicato il convincimento della disonestà dell’Aliberti,
per quanto riguarda l’esercizio del lotto clandestino. Questo processo - egli
dice - un capitolo della nuova storia di Napoli, la quale ha bene il diritto di
sincerarsi dell’onestà dei suoi rappresentanti politici. La casa dell’uomo
politico deve essere come di vetro, in modo che tutti possano vedervi dentro
liberamente. Questo impellente dovere non stato compreso dall’Aliberti e dai
suoi difensori. Entra, quindi, nell’esame dei vari motivi di nullità del
precedente giudizio e accenna con frase felicissima ai volgari espedienti della
parte civile per impedire la prova. Passando all’esame dei testimoni ricorda
che nella lista di essi figurano nomi di uomini superiori ad ogni sospetto come
quelli di Domenico Miraglia, di Giusso, di Saredo, di De Martino, ecc., i quali
non esitarono a dire il loro pensiero sfavorevole alla figura morale di
Aliberti. Accenna ad un ultimo motivo di nullità: quello della malattia del
giudice Puca, per cui il processo doveva rinviarsi. Cita in proposito parecchi
esempi e, dopo aver discusso l’ illegalità della querela presentata ad un
giudice incompetente, conclude augurandosi che la Corte di Appello accolga l’istanza
della difesa. La fine dell’arringa di Pansini calorosamente applaudita dal
pubblico.
|| L’intermezzo Rota
Un intermezzo che comincia con la
lirica intonazione infiorata di motti latini che fanno rimanere attonito l’entourage
piuttosto analfabeta dell’on. Giuoco Piccolo. Babbuino Rota si asciuga il
sudore, beve il primo bicchiere d’acqua e poi comincia promettendo di essere
breve. Il pubblico si mostra lieto di questa buona novella, la quale allontana
il pericolo di una lunga parentesi di noia in quest’ora cos asfissiante. Anche
dal banco della stampa partono amorose occhiate di ringraziamento a Babbuino,
il quale oggi appare pi babbuino del solito, specialmente quando con
invidiabile faccia fresca asserisce che non vi fu alcuna limitazione di prova
per parte di don Gennarino Aliberti. A questa allegra trovata il pubblico
prorompe prima in una sonora risata e poi in proteste, che sarebbero anche pi
sonore se non l’impedisse la presenza nell’aula di un considerevole numero di
poliziotti. Il presidente chiama in soccorso il campanello, ammonisce il
pubblico di non turbare la serenità della giustizia, ecc, ecc, e poi prega
Babbuino Rota di essere pi calmo e di non provocare il pubblico. Babbuino resta
interdetto e continua a sballare castronerie d’ogni colore, fino al punto da
assicurare , come la cosa pi naturale di questo mondo, che a don Gennarino non
pareva vero di rendere possibile una severa indagine su tutta la sua vita pubblica.
Nuove risate dal pubblico e nuovi richiami del presidente. Dimenticando la
promessa di essere breve, fatta in principio, parla lungamente senza concludere
nulla e annoiando tutti coloro che hanno la sventura di ascoltarlo. L’eloquenza
di Babbuino con questo caldo addirittura insopportabile. Essa fa sbadigliare
perfino l’usciere, il giudice Oberty e Gattola Mondella, i quali, a quanto ci
si assicura, sono i soli ammiratori dell’illustre avvocato. Finalmente, come il
Signore Iddio vuole, Babbuino Rota finisce ed il pubblico caccia un grande
respiro di soddisfazione. Durante la sua arringa il chiaro uomo non ha fatto
altro che leggere la memoria stampata di Simeoni. Quest’ultimo aggiunge poche
parole a quelle del suo collega della P.C., e poi finisce anche lui chiedendo
che la Corte non accolga la richiesta della difesa. A questo punto l’udienza
viene sospesa per cinque minuti.
|| Il seguito dell’ udienza
Riapertasi
l’udienza il P.M. comincia la sua arringa con la quale respinge tutti i motivi
di nullità presentati dalla difesa. Da questo magistrato che ha voluto cos
palesemente rendersi solidale coi nominati Rota e Simeoni noi non ci
aspettavamo una serena parola di giustizia. Ed i fatti ci hanno dato ragione.
Aspettiamo ora la decisione che venerdì prossimo dovranno pronunziare i
consiglieri di appello, augurandoci che essa non violi gl’interessi supremi
della giustizia e della moralità.
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Uomo, olio su tela 2007 - Gianluca Salvati |
lunedì 29 aprile 2013
Una lettera dell'avv. Enrico De Nicola - Primo Presidente della Repubblica
L’egregio avvocato De Nicola, ribadisce, colla lettera che
pubblichiamo, una notizia data due numeri fa, riguardante un noto galeotto
assoldato dalle gentildonne e dai gentiluomini colpiti dall’inchiesta e da
d. Tommasò dell’Immobiliare.
Napoli, 29 gennaio del
1902
Spettabile Redazione della “Propaganda”
Il Vostro giornale ha fedelmente riportato ciò che, per
confusione nei ricordi o nella narrazione, gli era stato riferito relativamente
ad un invito da me ricevuto per assumere la difesa del direttore di un foglio
ebdomadario contro il quale sono state sporte varie querele per diffamazione.
Ciò nei rapporti della Propaganda.
Per quanto riguarda la mia persona posso affermare con
precisione irrecusabile che parecchi giorni or sono un mio carissimo amico mi
annunziò di aver ricevuto una visita di quel signore, il quale gli aveva
manifestato l’idea di rivolgersi a me o ad un valoroso collega, di cui fece
anche il nome, per il patrocinio delle sue ragioni. All’amico che mi dava simile preavviso con l’aggiunta
di aver consigliato il mio fra i due nomi indicati, risposi meravigliandomi
altamente che potesse venire a casa mia il direttore di quel foglio per
invitarmi ad assumere la sua difesa.
Infatti, egli è stato querelato per una campagna, che io –
giudice sereno perché lontano dalle lotte partigiane della mia città – reputo perfino
inverosimile nella sua enormità, iniziata o contro amici carissimi come Pietro
Pansini, Carlo Altobelli, Roberto Marvasi, Alfredo Sandulli, Arturo Labriola,
cui mi avvincono non soltanto sentimenti di stima sincera, ma nodi indissolubili
di affetto fraterno – o contro altri come il Lucci, il Leone ecc., che non
conosco ma che, giovane anche io, altamente ammiro per lo spirito pugnace e l’ideale
che li agita. E tale risposta avrei dato al direttore di quel giornale se fosse
venuto a casa mia, come aveva preannunziato.
Esposto così l’incidente nei più esatti particolari,
dichiaro chiusa, per conto mio, ogni ulteriore polemica, porgendo a voi,
onorevole redazione, i sensi della mia osservanza.
Avv. Enrico De Nicola
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avv. Enrico De Nicola - Pirmo Presidente della Repubblica |
Abbiamo pubblicato con piacere questa lettera del De Nicola,
noi che già fedelmente pubblicammo
quanto egli ebbe a dire a un nostro amico.
E ci gode l’animo di aggiungere a titolo di lode del giovane
avvocato, che egli, in pubblico tribunale, ha a tal proposito aggiunto: “Un
avvocato che si rispetta non accetta certe cause!”. Ma se lo dicevamo noi!
Colui sarà difeso da un ruffiano!
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