Pietro Pansini

Pietro Pansini
Pietro Pansini

Pietro Pansini nato a Giovinazzo (Bari), deputato repubblicano, grado 33 della massoneria, avvocato penalista





1902. Pietro Pansini difende il direttore del giornale “1799”, Eduardo Giacchetti, nella causa Aliberti/1799. Giacchetti, che denunciava sul suo foglio i politici corrotti, era stato querelato dall'on. Aliberti, per diffamazione. Gennaro Aliberti era l'organizzatore occulto del lotto clandestino a Napoli: le sue attività illegali e le frequentazioni con esponenti del crimine organizzato erano note anche ad uomini del governo.
La difesa di Giacchetti era stata proposta, appena 6 mesi prima, al giovane avvocato Enrico De Nicola: futuro primo Presidente della Repubblica. De Nicola, che aveva rifiutato sdegnosamente e pubblicamente la richiesta, scriverà una lettera al giornaleLa Propaganda”, concorrente del “1799”, per ribadire la sua scelta.


Napoli, Tribunale di Castel Capuano. Causa Aliberti-1799 (luglio 1902). L'on. Pietro Pansini durante la difesa farà una citazione dall'opera del filosofo Norberto Bobbio (nato il 18/10/1909), evocando la bella metafora della "casa di vetro". La causa non va come dovrebbe: Eduardo Giacchetti finirà in carcere.

1903. Pietro Pansini subisce un tentativo di diffamazione. Dall'episodio, rivelatosi una montatura orchestrata ai danni dell'onorevole Pansini, si risale ad un unico responsabile e non ai mandanti (poteri occulti). I socialisti napoletani promuoveranno la candidatura politica di Eduardo Giacchetti per rendergli la libertà. I loro sforzi saranno inutili perché Eduardo Giacchetti perirà in carcere a soli 42 anni. Chi tocca il re muore, compreso il re delle fogne, Gennaro Aliberti.

1904. Muore di polmonite il visconte Luigi Riola, genero di Pietro Pansini.

1905. Muore (encefalite letargica) l'unica figlia di Pietro Pansini, Rebecca, lasciando una figlia, Anna.

1913. 26/10 (domenica) Il collegio elettorale Molfetta-Bisceglie elegge a deputato al Parlamento il repubblicano prof. Pietro Pansini in lotta col socialista prof. Gaetano Salvemini. .

1921. Don Luigi Sturzo, fondatore del partito popolare, oppone il suo veto all’inclusione dell’on. Gennaro Aliberti nella lista dei candidati alle elezioni politiche. […] L’Aliberti, dopo il rifiuto, passa a sostenere la lista fascista che in quelle elezioni fa la sua prima apparizione a Napoli, e a spingere le squadre del Padovani in particolare contro l’on. Degni e i popolari, il 12 maggio, durante un comizio al Politeama.

1924. Dopo il delitto Matteotti da parte dei sicari del partito di Benito Mussolini, don Luigi Sturzo è costretto a rifugiarsi in Inghilterra in quanto “persona non gradita” al regime.

1930. Anna Riola, nipote ed unica discendente di Pietro Pansini, sposa il ricco commerciante Ciro Salvati. I due avranno 5 figli: Francesco, Luigi, Pietro, Aldo, Annamaria.

1948. Dopo la guerra, nonostante l'Italia diventi ufficialmente una democrazia, la famiglia di Ciro Salvati e Anna Riola continuerà a vivere nell'ostracismo. In seguito i loro figli avranno difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro, nonostante gli studi superiori ed universitari.

1964. Muore Luigi Salvati, figlio di Anna e Ciro. Aveva 32 anni. La causa del decesso è infarto: unico caso in famiglia. Luigi lavorava in Germania, dove era emigrato da pochi anni e godeva di ottima salute.




la casa di vetro, "La casa dell'uomo politico deve essere come di vetro in modo che tutti possano vedervi dentro liberamente. Questo impellente dovere non è stato compreso dall'Aliberti e dai suoi difensori". (Pietro Pansini in difesa di Eduardo Giacchetti, durante la causa Aliberti-1799. Napoli, Castel Capuano. Luglio 1902. Fonte "La Propaganda").

polmonite, processo infiammatorio del parenchima polmonare causato da agenti infettivi, chimici o fisici. Gli agenti fisici sono rappresentati principalmente dalle radiazioni (p. post-attinica); cause chimiche possono essere acidi o alcali (p. ab ingestis). Gli agenti infettivi sono più frequentemente responsabili di p. Possono raggiungere il polmone per inalazione, per aspirazione dal nasofaringe (soprattutto in condizioni di alterata motilità delle ciglia dell'epitelio respiratorio), per disseminazione ematogena o, più raramente, per contiguità o per ferite penetranti.


Il passato non è morto e non è neanche ancora passato. (William Faulkner)




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martedì 27 gennaio 2015

Eduardo Giacchetti nel collegio di Chiaia | La Propaganda, organo regionale socialista

  La Propaganda -  organo regionale socialista

La lotta di oggi nel collegio di Chiaia

I socialisti, i repubblicani, i radicali, tutti i cittadini che tengono al libero controllo della stampa e alla moralità pubblica voteranno per il recluso

   EDUARDO GIACCHETTI 
Oggi, la canaglia (Gennaro Aliberti, ndr) celebra a Chiaia i suoi saturnali. Da una parte la reazione in marsina e dall'altra quella in giacca, l'una fermentata dal lievito religioso e l'altra semovente all'ombra del bandierone liberale che, da oltre un quarantennio, covre e protegge le porcherie più grosse e le viltà peggiori. Capece Minutolo di Bugnano e Cucca di Talamo si equivalgono nella concezione reazionaria che essi hanno della politica: l'uno e l'altro guardano lo Stato come l'ente protettore del popolo, come la piscina probatica nella quale chi si tuffa è salvo, e credono che il deputato, il così detto rappresentante del paese - di cui, per la restrittiva legge elettorale, va alle urne una percentuale assai bassa - sia né più né meno che un servitore: servitore del ministero e degli elettori, a un tempo, che deve dare il voto all'uno per ottenerne i piccoli favori e le minute concessioni a vantaggio degli altri.
Lontana è dalla loro coscienza la visione di una società che viva della cooperazione e nella cooperazione di tutti e che si voglia e si sappia amministrare con la propria diretta sorveglianza e col libero controllo di chicchessia e che a piacimento, e quando le torni comodo, rinnovi le proprie delegazioni e le trasformi. Ed è lontano dal loro cervello anche l'abbozzo di un qualunque programma politico.
L'uno e l'altro promisero ferrovie, ponti e strade, licei, ginnasii ed asili d'infanzia, e le croci di cavaliere e di commendatore della molto ospitale corona furon fatti da entrambi balenare innanzi alla dabbenaggine presuntuosa degli elettori: nessuno dei due si è sognato di parlare della miseria delle mille creature umane, le quali se potessero andare alle urne (da cui le tien lontane la provvida mano della borghesia sfruttatrice) voterebbero solo per chi invoca e propugna, mediante la rivoluzione dei rapporti sociali, il dovere del lavoro per tutti e per tutti il diritto alla giustizia.
L'uno, ambiziosetto e impaziente di pervenire, pare abbia anche egli sollecitata la protezione governativa che l'altro ottenne: e ci vien riferito che entrambi, incontratisi tempo fa in prefettura, si sarebbero scambievolmente dichiarato che l'uno avrebbe ceduto il passo a quello che avesse ottenuto l'appoggio governativo: a tal patto, rompendo la fede, uno avrebbe dunque mancato. Non ci preme affatto l'incidente nella parte che si riferisce al (chiamamolo così) tradimento. Guardiamo invece col disgusto e con la nausea questi avvenimenti.
[...] il Roma ha ieri, dalle libere sue colonne, protestato per le turpitudini che la Pubblica Sicurezza commise contro i partiti popolari propugnanti la candidatura di un operaio immacolato, di Eduardo Giacchetti, contro la candidatura nera di Capece Minutolo e quella di tutti i colori del Cucca.
Noi non ci contenteremo di protestare. Faremo di più. Chiederemo, ai sensi della legge, la nullità di una elezione avvenuta in modo fraudolento e cattivo.
Dal palazzo Calabritto un giocatore di baccarat dirige, con la prepotenza più aperta, le operazioni elettorali. Mercè sua fu dato libero passo ai micidiali col segno: e i pregiudicati e gli ammoniti potettero liberamente aggredire e ferire chi meglio loro talentasse, alla presenza della forza pubblica la quale (complimenti signor Zaiotti!) fu feroce solo con noi, come risulta dalla proibizione di ogni nostro comizio.
Tutto ciò sarà denunziato al parlamento innanzi al quale Roberto Talamo dovrà pareggiare i suoi conti.
Oggi noi andiamo alle urne a deporre il nome immacolato di Eduardo Giacchetti che, gravemente infermo nel carcere, ignora le ansie nostre e le nostre speranze.
Quanti voti saranno dati al martire? Molti ne auguriamo, più che per lui, per la dignità del Collegio di Chiaia, per la vita morale di Napoli.
Nelle ragioni di questo augurio fervido è il fascino della battaglia.
La quale, comunque finisca, lascia i radicali, i repubblicani e i socialisti di Napoli fieri del compiuto dovere e del servigio reso alla città.
Per opera dei partiti popolari non sarà lecito domani rimproverare al nostro paese di aver assistito, senza protesta, a un duello elettorale fra due campioni indegni di toccar la palma della vittoria.
E il popolo avrà una volta ancora compreso come debba, affermando la sua sola e insostituibile e non delegabile sovranità, provvedere al suo avvenire.
La Propaganda

La Propaganda organo regionale socialista

venerdì 18 ottobre 2013

Storia dell'intreccio politico mafioso in Italia | L'on. Gennaro Aliberti e il gioco del lotto clandestino

GENNARO ALIBERTI era un uomo politico campano, originario di Pontecagnano, provincia di Salerno, che operava agli inizi del novecento nel napoletano.
L'onorevole Gennaro Aliberti, tra i suoi interessi, vantava amicizie con noti personaggi della camorra  (criminalità organizzata napoletana). Inoltre aveva diversi interessi imprenditoriali: era il referente occulto, per esempio, del gioco del lotto clandestino.
Don Gennarino, insomma, è stato un precursore, un pioniere di quella nuova tassa sulla povertà rappresentata dal gioco d'azzardo in tutte le sue forme: dal gratta e perdi ai videopoker... Dicevo che 'on Gennaro è stato l'avanguardia, la punta di diamante di questo nuovo prelievo legalizzato che oggi è promosso direttamente dallo Stato (le mafie ringraziano).
Eppure, ai suoi tempi, c'era chi parlava male di Gennaro Aliberti; certamente si trattava di persone ignoranti, mosse unicamente da invidia per cotanto brillante spirito imprenditoriale e riconoscimento sociale. Gente che non comprendeva la portata storica di un nuovo modo (molto antico nella sostanza) di intendere l'impegno politico.
Quel Gennaro Aliberti era un uomo che sapeva fare politica con la p maiuscola...  C'erano persone che osavano scrivere cose indicibili (ma vere) sul conto di Gennarino Aliberti... Fortunatamente, il giovane avvocato Enrico De Nicola, uomo integro e tutto d'un pezzo, si rifiutò di difendere colui che aveva scritto delle infamità (provate) su Gennaro Aliberti.
In seguito è stato scritto che Gennaro Aliberti era una "fogna che va murata": quanta inutile cattiveria nei suoi confronti. Lo Stato oggi dovrebbe rimediare a questa ingiustizia nei confronti di 'on Gennarino Aliberti, dovrebbe fargli un monumento, a quella merda.

Agustin Codazzi

mercoledì 9 ottobre 2013

"L'incidente" | Nilde Iotti e Tina Anselmi: contrasto alla loggia massonica P2, la loggia infame

Ritornava a casa dalla messa, suo fratello più grande gli aveva detto che, se aveva freddo, poteva ritornare in macchina con gli altri, il motorino l'avrebbe guidato lui.
Gli aveva risposto di no: era venuto col motorino e con quello sarebbe tornato. Non era affatto freddo, nonostante fossero le 8 di sera. Certamente cominciava a scendere l'umidità...
Risalendo la strada di Capodimonte, fu superato, a destra, da alcune macchine che andavano di fretta. Il rombo dei motori disturbava la placida tranquillità della domenica: una nota stonata dato che non c'era traffico e le poche auto procedevano con calma. Quando fu sorpassato da quelle vetture, avvertì una sensazione di freddo, ora si, come attraversando una nuvola. Tirò via i piedi dai pedali e li poggiò sulla pedanina, pochi centimetri più in alto.
Al Regresso, c'era la coda di macchine in attesa che scattasse il verde. 

A quei tempi il semaforo era azionato da un vigile che manovrava dall'interno di un casotto, una sorta di chiosco verde stinto coi bordi bombati e vetrate da autobus.
Nonostante la carreggiata fosse molto larga, la fila di macchine era tutta a ridosso della doppia striscia. Le auto erano praticamente attaccate l'una all'altra, cosicché, non potendo rientrare a destra, fu costretto a proseguire poco oltre la doppia striscia. La strada nell'altro senso di marcia era ancora più larga, avrebbero potuto procedere tranquillamente 3 auto affiancate. Ciononostante avanzò con cautela, tenendosi a ridosso della doppia striscia. Ma il margine di curva non fu sufficiente ad una macchina che scendeva e fu colpito.

L'aveva visto arrivare, spedito e calibrando la traiettoria sullo sterzo come cercando di investirlo. L'ultima immagine che memorizzò prima di cadere, fu la sterzata dell'uomo al volante.

Tutto avvenne con la rapidità del lampo: il tipo che sterzava all'ultimo, con un ampio gesto, l'impatto, il vuoto.

L'asfalto fermò la sua caduta dopo una parabola di un paio di metri. Atterrò sull'avambraccio sinistro, sulla mano destra e sulle punte dei piedi, contemporaneamente. L'attimo successivo era in mezzo al traffico a sollevare il motorino ripiegato al centro della strada. Non vedeva altro, come se il motorino fosse il suo corpo inanimato e lui la sua anima, ed ora fossero separati perché non era sopravvissuto all'impatto...



Notò che il pedalino destro era completamente schiacciato sul carter che, spaccato in quel punto, perdeva olio nero. Ed era come se il motorino sanguinasse...
Lo appoggiò sul ciglio della strada, a ridosso del marciapiedi. Gli venne incontro suo padre, di corsa, chiedendogli cos'era successo.
Il ragazzino rispose: “Sono scivolato!”.
Il tipo venne fuori dall'auto energicamente, sfoggiando un'ammirevole agilità per la sua stazza. Era sotto la trentina, aveva scarpe di gomma e i pantaloni della tuta da tennis. Un maglione beige copriva la pancia prominente.
L'auto era ferma al centro della strada: di sbieco, la ruota sinistra anteriore era a terra. La macchina era visibilmente di traverso, non allineata all'andamento di marcia. All'interno c'erano alcune ombre di ragazze, tre o quattro, tra i 20 e i 25 anni.
Nonostante l'auto ferma, il traffico non subì rallentamenti e le auto scorrevano indisturbate.
 

Si avvicinò suo fratello maggiore e alcuni curiosi, tra cui un tipo biondo e lentigginoso: il biondone.
L'autista e suo padre scambiarono frasi di circostanza. L'autista si discolpò: il ragazzo guidava contromano. Parlamentarono un po'. Ad un certo punto il ragazzino scoppiò in lacrime. Aveva realizzato che se non avesse sollevato i piedi sulla pedanina, non sarebbe sopravvissuto all'impatto. Un fremito ondeggiò sulle ombre delle ragazze nell'auto. Il biondone gli disse in dialetto: “E ora perché piangi: non ti sei fatto niente!”. 

Era vero, non aveva neanche un graffio, ma avvertendo l'ostilità dell'evidenza spicciola nei suoi confronti, si addossò la colpa dell'incidente.
Il biondone ebbe come un senso di sollievo a quelle affermazioni. Guardò l'autista gonfio di soddisfazione, e, se avesse potuto, quel frocione avrebbe sbottato: “Dio è con noi!”. L'autista non raccolse, rimanendo serio e impassibile.

Durante il confronto con la controparte (o le controparti), il ragazzino si aspettava di veder sbucare il vigile dalla sua tana. Quest'evento non accadde: il vigile rimase rintanato per tutto il quarto d'ora e passa che andò dall'incidente al congedo degli interessati.
Dopo aver parlamentato, stavano andando via quando suo padre richiamò l'autista, per dirgli che il ragazzino non aveva ancora 14 anni.

Era da più di un anno che frequentava quella chiesa giù a Capodimonte.
In quella chiesa si aveva ricevuto il sacramento della prima comunione, dopo anni di catechismo alla parrocchia dei Rogazionisti del suo quartiere.
Di quegli interminabili e pallosi anni del catechismo preferiva non parlare, ma aveva ben chiaro che in quel periodo qualsiasi cosa avesse fatto sarebbe stato di gran lunga migliore. E poi non aveva mai capito perché le catechiste non lo avevano mai congedato. Non aveva fatto un'assenza ed era stato costretto anch'egli a sorbirsi la stessa minestrina annacquata: le chiacchiere che le due bigotte dispensavano a tutti.
Comunque a distanza di qualche mese dalla comunione, una domenica sera si trovò di punto in bianco, dietro suggerimento di sua madre, a servire la messa in quella chiesa di Capodimonte.
L'esperienza gli piacque così il giorno successivo volle ripeterla. Andò da solo, a piedi fino al tempio. In realtà l'ultimo tratto lo fece di corsa, dalla parte senza marciapiede che va da Regresso (il luogo dove avverrà "l'incidente") alla chiesa.
Quando vide il sagrestano gli disse che era intenzionato a servire la messa anche quel giorno. Lui gli chiese se non avesse paura ad andare da solo per quelle strade. In effetti, pur non essendo distante da casa sua, la strada per raggiungere la chiesa era quantomeno desolante: non c'erano punti di ritrovo, locali o negozi, ma solo strade e marciapiedi male illuminati. Eppure disse di no, di cosa doveva aver paura? 

Il sagrestano gli rispose che potevano sapere chi era suo padre.
A quest'affermazione rimase alquanto perplesso, gli sembrava proprio campata in aria, non aveva fatto tanta strada per sentirsi prendere in giro. E poi chi era suo padre? Un funzionario del Comune di Napoli, senza troppe chance di carriera nonostante i titoli e l'indiscussa professionalità. 

Il sagrestano si fece pensieroso, era una persona di qualità, misurava le parole e sapeva scherzare senza essere offensivo. Non tornò più sull'argomento, ma si fece sempre scrupolo di aspettare che arrivasse l'autobus quando il ragazzino tornava a casa.

Il giorno dopo "l'incidente", il ragazzino andò a scuola. Aveva gli stessi abiti della sera prima. A Regresso salì su un autobus affollato che l'avrebbe portato al centro. La solita routine, ma quel giorno notò qualcosa di diverso: lo strano silenzio che regnava all'interno del bus. Non era il rumore tipico dei mezzi affollati che prendeva, questo era silenzioso in modo innaturale nonostante fosse pieno, stipato di gente... e il silenzio durò lungo tutto il tragitto: gli parve decisamente insolito. Ebbe la precisa sensazione che fossero tutti al corrente di ciò che gli era capitato il giorno precedente, nonostante l'autobus provenisse dalla periferia e lui non conoscesse nessuno da quelle parti... Com'era possibile?
Quel ragazzino ero io. Tempo dopo mi dissi che avrei ricordato la data di “quell'incidente”.

Sono passati più di 30 anni da quella domenica sera al Regresso, quando mi sono messo in testa di ricostruirne la dinamica, avevo un problema: non ricordavo più la data esatta del fatidico incidente.
Ero assolutamente certo che fosse avvenuto di domenica e altrettanto certo che fosse successo a fine ottobre. Dovevo procurarmi un calendario del 1981 per ritrovare quella domenica lì. Immaginai che utilizzando internet sarebbe stato facile... In realtà è stato ancora più semplice di quanto immaginassi ed è avvenuto prima che mi attivassi a fare una ricerca.

“L'incidente” è avvenuto a fine ottobre 1981. In quei giorni, l'onorevole Nilde Iotti (deputato Pci, presidente della Camera) propose all'onorevole Tina Anselmi la presidenza della Commissione inquirente sulla P2 (la loggia infame). 

Tina Anselmi accettò dopo 5 minuti di riflessione.

Rendo omaggio al valore di queste due donne, raro esempio di etica politica.

mercoledì 10 luglio 2013

1979, Un attentato di Prima Linea | Antonio Sogliano - Gaetano Salvemini

Una sera del 1979 sentimmo un gran boato, quel rumore proveniva dalla parte alta del quartiere.
Il giorno dopo, quando ci recammo a scuola, non ci fecero entrare: era stata fatta esplodere una bomba al suo interno. Quel fracasso della sera prima proveniva proprio da lì.
Lo spiazzo antistante all'entrata della scuola era cosparso di schegge di vetro. Era la scuola media "A. Sogliano", dei Colli Aminei, oggi Tribunale dei minori.
Non ho mai capito gran che della dinamica dell'attentato e dei suoi perché. Si disse che era stato realizzato da una cellula di Prima Linea. Le poche notizie confuse che ho trovato sul web, hanno già dimenticato che si trattava di una scuola pubblica. La Sogliano, la mia scuola.
Il giorno dopo rientrammo nelle aule: i riflessi smaglianti delle vetrate nuove alle finestre richiamarono la mia attenzione per qualche tempo.
In seguito, anche il muro sbrecciato dalla bomba fu assorbito dalla routine che tutto avvolge. E tutto dimentica... "Perché colpire una scuola pubblica?".
Per anni ho creduto che Prima Linea fosse un gruppo eversivo di destra.
Invece no, era opera di proletari o presunti tali... questi “compagni che sbagliavano”, a volte erano proprio incorreggibili: l'attentato sembrava commissionato dalla peggiore destra. Quando si dice che gli estremi si toccano, si afferma una grande verità. Bisognava essere molto ingenui per non vedere dietro quell’evento la manina del regime infame...

Dicevo che non era chiara la dinamica, anche perché l'attentato fu sventato dal custode. I terroristi gli spararono ad una gamba, ma il fatto di essere stati scoperti pare abbia fatto saltare i loro piani, limitando i danni alle strutture dell’edificio. 
Ricordo quell'uomo, il custode, così lo chiamavo tra me e me. Non era un bidello, era evidente: avevo notato che vigilava già prima della bomba. Ricordo la sua foto apparsa sul Mattino nel letto d'ospedale nei giorni successivi l'attentato. E lo ricordo quando rientrò a scuola, claudicante ma sempre vigile: una presenza tanto preziosa quanto discreta.
La scuola si chiamava "Antonio Sogliano", aveva la succursale nei pressi di piazza Garibaldi, piuttosto lontana, l'anno seguente gli fu cambiato il nome e diventò la scuola media "Gaetano Salvemini", l’apostolo delle plebi meridionali. Insomma, Prima Linea aveva rivendicato l'attentato, il regime ci aveva apposto il timbro.

Fine - 2008, collage su cartone - Gianluca Salvati

sabato 8 giugno 2013

La Propaganda - La condanna del "faro" | Pietro Pansini - Roberto Marvasi

Per la querela Pansini

  Il Ciccarese in pubblica udienza del 22 aprile ultimo, dopo avere nel periodo istruttorio, tenuto il contegno di cui già abbiamo parlato, affermò: "Io non posso provare quanto affermai contro il prof. Pietro Pansini e che forma oggetto della sua querela. L'amor proprio mi fece velo nel combatterlo perché era doluto di lui, che, a mia insaputa e senza alcuna necessità fece incarcerare mia madre nell'Ospedale della Vita, fornendo così ai miei nemici il destro per potermi definire un figlio ingrato. Ero pure doluto di lui, perché mi si fece credere che lui aveva voluto la pubblicazione del certificato penale a mio carico sulla Propaganda. Sono perciò dolente del disturbo creatogli e lo deploro".
  Eguali dichiarazioni il Ciccarese costantemente ripetette nelle udienze successive, ogni volta che i risultati del dibattimento offrivano sempre più la prova della insensatezza degli addebiti fatti dal Ciccarese. E fu constatato perfino che questi - denunziato per l'ammonizione - potette scongiurare tale grave provvedimento contro di lui, principalmente per la testimonianza favorevole fattagli proprio dal prof. Pietro Pansini per il quale poi, il Ciccarese, mostrò la sua gratitudine, col vendicarsi con gli articoli diffamatori!

Per la querela Marvasi

  Il Ciccarese in udienza, mentre ritrattava le accuse lanciate contro il prof. Pietro Pansini, riconfermava esplicitamente tutto, una per una, contro il nostro Roberto Marvasi, che, dopo questa pubblica discussione, ci è diventato ancora più caro. Egli ha conservato una calma ammirevole, tanto più perchè egli ha dovuto reprimere tutti gli scatti, giustissimi, della sua indole vivace, del suo temperamento ardente, del suo animo generoso e nobilissimo. Poche volte soltanto egli ha reagito, quando con qualche malignazione si cercava colpirlo alle spalle ed il suo santo risentimento trovava eco in tutte le anime oneste che assistevano al dibattito.
  Il Ciccarese aveva indicato per deporre contro di lui come testimone, tutti coloro che dal Marvasi erano stati colpiti in modo sanguinoso per avere sempre egli - come depose l'avv. Salvi - accettato generosamente la responsabilità non soltanto degli atti suoi, ma di quelli del partito e del nostro giornale, cui egli consacra tanta parte della sua attività e del suo ingegno.
  Enrico Leone, con una forma semplice e commovente, disse di lui cose lusinghiere assai, mettendo in evidenza la trasformazione subita dal Marvasi dal giorno in cui l'animo suo si è aperto alle ideali visioni del nostro partito. Perfino i testimoni avversari, coloro cioè che insistentemente, in tempi remoti o recenti, improvvisamente aggredirono il Marvasi, non potettero fare a meno di ammirare il coraggio del Marvasi che, aggredito energicamente, si difese. Né meno luminosa risultò la prova dei sacrifici fatti da lui nell'interesse del partito e durante la pubblicazione del suo giornale La Pecora.

Il filosofo, Norberto Bobbio - Gianluca Salvati 1999

giovedì 2 maggio 2013

Politica e mafia | La causa Aliberti - 1799. Gennaro Aliberti - Eduardo Giacchetti - Pietro Pansini | Storia dell'intreccio politico mafioso

La causa Aliberti/1799


  ||  Aspettando l’udienza
Nonostante il caldo enorme, molto pubblico si addensa nel vasto salone di Castelcapuano aspettando che giunga l’ora del secondo spettacolo offerto dall’on. Giuoco Piccolo ai cittadini napoletani: uno spettacolo che dopo un anno si rinnova oggi per colpa di quei magistrati dell8 sezione del nostro tribunale che l’anno scorso non seppero seguire il nobile esempio di Raffaele de Notaristefani e con un’ambigua sentenza si astennero dall’imprimere sulla fronte del pallido criminale di Massalubrense il marchio della condanna reclamata con voce concorde dalla pubblica opinione e dalle risultanze di quel processo. Per colpa di quei magistrati Gennaro Aliberti, recentemente investito un’altra volta della carica di consigliere provinciale, può aggirarsi spavaldamente per i locali di Castelcapuano, sicuro che i magistrati della corte di appello non smentiranno le tradizioni della giustizia italiana, sanzionando la condanna inflitta all’onesto Giacchetti. Infatti egli va coi suoi fidi Rota e Gattola Mondella, ostentando la certezza del secondo trionfo. Ed anche oggi si fa seguire dai migliori campioni della malavita della sezione Mercato, la quale ha voluto novellamente testimoniare della solidarietà che la lega a don Gennarino e muovere al suo soccorso. A completare il corteo manca per ora soltanto Simeoni, trattenuto altrove forse per celebrare i consueti riti di Sodoma. Quando questi arriva, don Gennarino gli va incontro tendendogli affettuosamente le mani come per abbracciarlo, mentre lo stato maggiore camorristico, chiamato a raccolta per l’occasione solenne, fa ala al loro passaggio, rendendo gli onori (diciamo cos tanto per intenderci) ai due non troppo onorevoli personaggi. 

  ||  Nell’aula
Alle due e un quarto, ciò dopo una lunga attesa, l’usciere pronuncia con le sacramentali parole l’ingresso della Corte. E subito dopo il presidente d la parola all’on. Pietro Pansini, il quale, rifacendo brevemente la storia del processo, chiede all’accusa se intende insistere sui motivi presentati all’ultim’ora, che escludono la facoltà della prova. Dichiara al rappresentante il P.M. che, se la discussione della prova fosse negata, i difensori saprebbero compiere il proprio dovere. Prosegue dimostrando la necessità che in questo processo d’interesse pubblico sia fatta ampia luce. Invita la Corte a decidere sulla limitazione della prova dicendo che, nella coscienza popolare radicato il convincimento della disonestà dell’Aliberti, per quanto riguarda l’esercizio del lotto clandestino. Questo processo - egli dice - un capitolo della nuova storia di Napoli, la quale ha bene il diritto di sincerarsi dell’onestà dei suoi rappresentanti politici. La casa dell’uomo politico deve essere come di vetro, in modo che tutti possano vedervi dentro liberamente. Questo impellente dovere non stato compreso dall’Aliberti e dai suoi difensori. Entra, quindi, nell’esame dei vari motivi di nullità del precedente giudizio e accenna con frase felicissima ai volgari espedienti della parte civile per impedire la prova. Passando all’esame dei testimoni ricorda che nella lista di essi figurano nomi di uomini superiori ad ogni sospetto come quelli di Domenico Miraglia, di Giusso, di Saredo, di De Martino, ecc., i quali non esitarono a dire il loro pensiero sfavorevole alla figura morale di Aliberti. Accenna ad un ultimo motivo di nullità: quello della malattia del giudice Puca, per cui il processo doveva rinviarsi. Cita in proposito parecchi esempi e, dopo aver discusso l’ illegalità della querela presentata ad un giudice incompetente, conclude augurandosi che la Corte di Appello accolga l’istanza della difesa. La fine dell’arringa di Pansini calorosamente applaudita dal pubblico.

  ||  L’intermezzo Rota
Un intermezzo che comincia con la lirica intonazione infiorata di motti latini che fanno rimanere attonito l’entourage piuttosto analfabeta dell’on. Giuoco Piccolo. Babbuino Rota si asciuga il sudore, beve il primo bicchiere d’acqua e poi comincia promettendo di essere breve. Il pubblico si mostra lieto di questa buona novella, la quale allontana il pericolo di una lunga parentesi di noia in quest’ora cos asfissiante. Anche dal banco della stampa partono amorose occhiate di ringraziamento a Babbuino, il quale oggi appare pi babbuino del solito, specialmente quando con invidiabile faccia fresca asserisce che non vi fu alcuna limitazione di prova per parte di don Gennarino Aliberti. A questa allegra trovata il pubblico prorompe prima in una sonora risata e poi in proteste, che sarebbero anche pi sonore se non l’impedisse la presenza nell’aula di un considerevole numero di poliziotti. Il presidente chiama in soccorso il campanello, ammonisce il pubblico di non turbare la serenità della giustizia, ecc, ecc, e poi prega Babbuino Rota di essere pi calmo e di non provocare il pubblico. Babbuino resta interdetto e continua a sballare castronerie d’ogni colore, fino al punto da assicurare , come la cosa pi naturale di questo mondo, che a don Gennarino non pareva vero di rendere possibile una severa indagine su tutta la sua vita pubblica. Nuove risate dal pubblico e nuovi richiami del presidente. Dimenticando la promessa di essere breve, fatta in principio, parla lungamente senza concludere nulla e annoiando tutti coloro che hanno la sventura di ascoltarlo. L’eloquenza di Babbuino con questo caldo addirittura insopportabile. Essa fa sbadigliare perfino l’usciere, il giudice Oberty e Gattola Mondella, i quali, a quanto ci si assicura, sono i soli ammiratori dell’illustre avvocato. Finalmente, come il Signore Iddio vuole, Babbuino Rota finisce ed il pubblico caccia un grande respiro di soddisfazione. Durante la sua arringa il chiaro uomo non ha fatto altro che leggere la memoria stampata di Simeoni. Quest’ultimo aggiunge poche parole a quelle del suo collega della P.C., e poi finisce anche lui chiedendo che la Corte non accolga la richiesta della difesa. A questo punto l’udienza viene sospesa per cinque minuti. 

  ||  Il seguito dell’ udienza
 Riapertasi l’udienza il P.M. comincia la sua arringa con la quale respinge tutti i motivi di nullità presentati dalla difesa. Da questo magistrato che ha voluto cos palesemente rendersi solidale coi nominati Rota e Simeoni noi non ci aspettavamo una serena parola di giustizia. Ed i fatti ci hanno dato ragione. Aspettiamo ora la decisione che venerdì prossimo dovranno pronunziare i consiglieri di appello, augurandoci che essa non violi gl’interessi supremi della giustizia e della moralità.


Uomo, olio su tela 2007 - Gianluca Salvati

lunedì 29 aprile 2013

Una lettera dell'avv. Enrico De Nicola - Primo Presidente della Repubblica



L’egregio avvocato De Nicola, ribadisce, colla lettera che pubblichiamo, una notizia data due numeri fa, riguardante un noto galeotto assoldato dalle gentildonne e dai gentiluomini colpiti dall’inchiesta e da d. Tommasò dell’Immobiliare.
Napoli, 29 gennaio del 1902
Spettabile Redazione della “Propaganda”
Il Vostro giornale ha fedelmente riportato ciò che, per confusione nei ricordi o nella narrazione, gli era stato riferito relativamente ad un invito da me ricevuto per assumere la difesa del direttore di un foglio ebdomadario contro il quale sono state sporte varie querele per diffamazione. 
Ciò nei rapporti della Propaganda.
Per quanto riguarda la mia persona posso affermare con precisione irrecusabile che parecchi giorni or sono un mio carissimo amico mi annunziò di aver ricevuto una visita di quel signore, il quale gli aveva manifestato l’idea di rivolgersi a me o ad un valoroso collega, di cui fece anche il nome, per il patrocinio delle sue ragioni.  All’amico che mi dava simile preavviso con l’aggiunta di aver consigliato il mio fra i due nomi indicati, risposi meravigliandomi altamente che potesse venire a casa mia il direttore di quel foglio per invitarmi ad assumere la sua difesa.
Infatti, egli è stato querelato per una campagna, che io – giudice sereno perché lontano dalle lotte partigiane della mia città – reputo perfino inverosimile nella sua enormità, iniziata o contro amici carissimi come Pietro Pansini, Carlo Altobelli, Roberto Marvasi, Alfredo Sandulli, Arturo Labriola, cui mi avvincono non soltanto sentimenti di stima sincera, ma nodi indissolubili di affetto fraterno – o contro altri come il Lucci, il Leone ecc., che non conosco ma che, giovane anche io, altamente ammiro per lo spirito pugnace e l’ideale che li agita. E tale risposta avrei dato al direttore di quel giornale se fosse venuto a casa mia, come aveva preannunziato.
Esposto così l’incidente nei più esatti particolari, dichiaro chiusa, per conto mio, ogni ulteriore polemica, porgendo a voi, onorevole redazione, i sensi della mia osservanza.
Avv. Enrico De Nicola

avv. Enrico De Nicola - Pirmo Presidente della Repubblica
Abbiamo pubblicato con piacere questa lettera del De Nicola, noi che già fedelmente pubblicammo quanto egli ebbe a dire a un nostro amico.
E ci gode l’animo di aggiungere a titolo di lode del giovane avvocato, che egli, in pubblico tribunale, ha a tal proposito aggiunto: “Un avvocato che si rispetta non accetta certe cause!”. Ma se lo dicevamo noi! Colui sarà difeso da un ruffiano!