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Human, collage su carta - Gianluca Salvati - 2004 Caracas |
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lunedì 25 novembre 2013
Massoneria | La loggia coperta Propaganda e la P2 di Licio Gelli
Della nota sigla P2 la P significa “Propaganda”. È il nome di una loggia nata nel 1877 allo scopo di “tenere attivi e vincolati all'Ordine e in corrispondenza diretta con il Grande Oriente gli uomini che per la loro posizione sociale non avrebbero potuto iscriversi nelle logge ordinarie e frequentarne i lavori” (U. Bacci, Il Libro del Massone Italiano, Bologna, 1972). Il clima storico è quello in cui molti affiliati alla Massoneria giocarono un ruolo importantissimo nell'assestamento dello Stato unitario. Fra i membri di questa loggia si possono infatti ricordare i nomi di G. Garibaldi, dei politici A. Saffi, G. Zanardelli, A. Bertani, e F. Crispi, del filosofo del diritto G. Bovio e del poeta G. Carducci. Che ci possano essere “posizioni sociali” incompatibili con la partecipazione ai regolari lavori delle logge è comprensibile, ma poiché la partecipazione a questi lavori è dalla Massoneria dichiarata essenziale per la costruzione e il percorso spirituale del singolo, sembra che si possa individuare sin dalle origini della Loggia “Propaganda” un cedimento a interessi di natura squisitamente profana. Tale valutazione è suffragata dal fatto che un primo scandalo, quello della Banca Romana del 1892-1893 in cui furono coinvolti alcuni dei suoi membri, determinò la crisi di questa loggia “atipica”.
Dopo il periodo fascista essa si ricostituì, assumendo il numero 2 per sottolineare la sua antica tradizione: tra le logge ancora attive poteva infatti vantare un'anzianità inferiore solo a quella della loggia alessandrina “Santorre di Santarosa”.
La Massoneria – Il vincolo fraterno che gioca con la storia; Giunti Editore
Nell'Ottocento la trovata dei “fratelli coperti”, e di conseguenza la creazione della Loggia Propaganda, era servita a proteggere chi temeva le persecuzioni clericali.
Gianfranco Piazzesi, Gelli – La carriera di un eroe di quest'Italia; ed. Garzanti
lunedì 4 novembre 2013
La casa di vetro e la Ragion di Stato, di Remo Bodei | Politica e menzogna
[...] "Già con i teorici cinquecenteschi e seicenteschi della Ragion di Stato la politica non è più l'arte di governare gli Stati secondo giustizia e ragione, ma piuttosto l'arte di conservare o espandere il potere. Si riconosce che la politica ha i suoi misteri che non possono essere conosciuti dai sudditi o dai cittadini, perché al volgo bisogna somministrare utili menzogne. Dalla politica come arte segreta si è passati, attraverso il primo liberalismo inglese e l'illuminismo, alla democrazia come casa di vetro, esposta agli sguardi e al controllo dell'opinione pubblica. Ma non si perdono zone di opacità e di manipolazione."
Dunque dobbiamo rassegnarci a un alto tasso fisiologico di menzogna?
"Ciò che oggi pare il tratto fondamentale della menzogna è che non si tratta più del nascondimento della verità, ma della sua sostituzione, dell'uccisione dei fatti. In questi ultimi decenni si è ecceduto in campo politico nell'uso sfacciato di menzogne, di affermazioni subito smentite. Una casa assolutamente trasparente non ci sarà mai, eppure molti cominciano ad accorgersi che non tutte le opinioni sono equivalenti e che i fatti alla fine hanno la testa dura.
Dunque dobbiamo rassegnarci a un alto tasso fisiologico di menzogna?
"Ciò che oggi pare il tratto fondamentale della menzogna è che non si tratta più del nascondimento della verità, ma della sua sostituzione, dell'uccisione dei fatti. In questi ultimi decenni si è ecceduto in campo politico nell'uso sfacciato di menzogne, di affermazioni subito smentite. Una casa assolutamente trasparente non ci sarà mai, eppure molti cominciano ad accorgersi che non tutte le opinioni sono equivalenti e che i fatti alla fine hanno la testa dura.
Remo Bodei
sabato 2 novembre 2013
Regime e censura, di Umberto Eco | Uomo che saluta, olio su tela
[...] In questo senso le forme di censura sono state molteplici: dall'eliminazione di libri pericolosi (dall'indice sino al rogo) all'ordine ai giornali di non trasmettere alcune notizie, alla damnatio memoriae che è una forma di censura talora spontanea e inavvertita, per cui di qualcuno o di qualche opera non si fa più cenno, da nessuna parte, in modo che quella cosa (nome, opera, impresa) venga per così dire rimossa dalla coscienza collettiva.
[...] C'è un modo di distinguere le censure che chiameremo culturali da quelle politiche. Le censure culturali avvengono lentamente, a poco a poco, per consenso generale, e di solito gli errori vengono definiti tali senza essere cancellati (noi possiamo benissimo ritrovare testi dove si dice che il Sole gira intorno alla Terra), mentre le censure politiche agiscono per così dire chirurgicamente, tendono a eliminare un ricordo, a fare in modo che non possa mai più riemergere.
[...] Sono convinto che nell'epoca delle comunicazioni di massa, dove anche le vecchie forme di dittatura si trasformano in populismo mediatico, la censura tradizionale diventi sempre più inefficace.
[...] In realtà anche in dittature come quella fascista la censura impediva solo che alcune notizie fossero date pubblicamente, ma non impediva che esse circolassero in modo clandestino - e sovente la notizia sussurrata aveva un impatto maggiore della notizia resa pubblica. Allora il sussurro prendeva la forma della mormorazione bocca-orecchio, oggi prenderà quella della mormorazione-blog.
[...] C'è un modo di distinguere le censure che chiameremo culturali da quelle politiche. Le censure culturali avvengono lentamente, a poco a poco, per consenso generale, e di solito gli errori vengono definiti tali senza essere cancellati (noi possiamo benissimo ritrovare testi dove si dice che il Sole gira intorno alla Terra), mentre le censure politiche agiscono per così dire chirurgicamente, tendono a eliminare un ricordo, a fare in modo che non possa mai più riemergere.
[...] Sono convinto che nell'epoca delle comunicazioni di massa, dove anche le vecchie forme di dittatura si trasformano in populismo mediatico, la censura tradizionale diventi sempre più inefficace.
[...] In realtà anche in dittature come quella fascista la censura impediva solo che alcune notizie fossero date pubblicamente, ma non impediva che esse circolassero in modo clandestino - e sovente la notizia sussurrata aveva un impatto maggiore della notizia resa pubblica. Allora il sussurro prendeva la forma della mormorazione bocca-orecchio, oggi prenderà quella della mormorazione-blog.
Umbert Eco, La Repubblica
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Uomo che saluta, olio su tela 1997 - Gianluca Salvati |
mercoledì 10 luglio 2013
1979, Un attentato di Prima Linea | Antonio Sogliano - Gaetano Salvemini
Una sera del 1979 sentimmo un gran boato, quel rumore proveniva dalla parte alta del quartiere.
Il giorno dopo, quando ci recammo a scuola, non ci fecero entrare: era stata fatta esplodere una bomba al suo interno. Quel fracasso della sera prima proveniva proprio da lì.
Lo spiazzo antistante all'entrata della scuola era cosparso di schegge di vetro. Era la scuola media "A. Sogliano", dei Colli Aminei, oggi Tribunale dei minori.
Non ho mai capito gran che della dinamica dell'attentato e dei suoi perché. Si disse che era stato realizzato da una cellula di Prima Linea. Le poche notizie confuse che ho trovato sul web, hanno già dimenticato che si trattava di una scuola pubblica. La Sogliano, la mia scuola.
Il giorno dopo rientrammo nelle aule: i riflessi smaglianti delle vetrate nuove alle finestre richiamarono la mia attenzione per qualche tempo.
In seguito, anche il muro sbrecciato dalla bomba fu assorbito dalla routine che tutto avvolge. E tutto dimentica... "Perché colpire una scuola pubblica?".
Per anni ho creduto che Prima Linea fosse un gruppo eversivo di destra.
Invece no, era opera di proletari o presunti tali... questi “compagni che sbagliavano”, a volte erano proprio incorreggibili: l'attentato sembrava commissionato dalla peggiore destra. Quando si dice che gli estremi si toccano, si afferma una grande verità. Bisognava essere molto ingenui per non vedere dietro quell’evento la manina del regime infame...
Il giorno dopo, quando ci recammo a scuola, non ci fecero entrare: era stata fatta esplodere una bomba al suo interno. Quel fracasso della sera prima proveniva proprio da lì.
Lo spiazzo antistante all'entrata della scuola era cosparso di schegge di vetro. Era la scuola media "A. Sogliano", dei Colli Aminei, oggi Tribunale dei minori.
Non ho mai capito gran che della dinamica dell'attentato e dei suoi perché. Si disse che era stato realizzato da una cellula di Prima Linea. Le poche notizie confuse che ho trovato sul web, hanno già dimenticato che si trattava di una scuola pubblica. La Sogliano, la mia scuola.
Il giorno dopo rientrammo nelle aule: i riflessi smaglianti delle vetrate nuove alle finestre richiamarono la mia attenzione per qualche tempo.
In seguito, anche il muro sbrecciato dalla bomba fu assorbito dalla routine che tutto avvolge. E tutto dimentica... "Perché colpire una scuola pubblica?".
Per anni ho creduto che Prima Linea fosse un gruppo eversivo di destra.
Invece no, era opera di proletari o presunti tali... questi “compagni che sbagliavano”, a volte erano proprio incorreggibili: l'attentato sembrava commissionato dalla peggiore destra. Quando si dice che gli estremi si toccano, si afferma una grande verità. Bisognava essere molto ingenui per non vedere dietro quell’evento la manina del regime infame...
Dicevo che non era chiara la dinamica, anche perché l'attentato fu sventato dal custode. I terroristi gli spararono ad una gamba, ma il fatto di essere stati scoperti pare abbia fatto saltare i loro piani, limitando i danni alle strutture dell’edificio.
Ricordo quell'uomo, il custode, così lo chiamavo tra me e me. Non era un bidello, era evidente: avevo notato che vigilava già prima della bomba. Ricordo la sua foto apparsa sul Mattino nel letto d'ospedale nei giorni successivi l'attentato. E lo ricordo quando rientrò a scuola, claudicante ma sempre vigile: una presenza tanto preziosa quanto discreta.
La scuola si chiamava "Antonio Sogliano", aveva la succursale nei pressi di piazza Garibaldi, piuttosto lontana, l'anno seguente gli fu cambiato il nome e diventò la scuola media "Gaetano Salvemini", l’apostolo delle plebi meridionali. Insomma, Prima Linea aveva rivendicato l'attentato, il regime ci aveva apposto il timbro.
La scuola si chiamava "Antonio Sogliano", aveva la succursale nei pressi di piazza Garibaldi, piuttosto lontana, l'anno seguente gli fu cambiato il nome e diventò la scuola media "Gaetano Salvemini", l’apostolo delle plebi meridionali. Insomma, Prima Linea aveva rivendicato l'attentato, il regime ci aveva apposto il timbro.
Fine - 2008, collage su cartone - Gianluca Salvati |
venerdì 14 giugno 2013
Sosteneva Pier Paolo Pasolini - PPP e il potere in Italia di Leonardo Sciascia
[...] Prima che in questo articolo - pubblicato sul Corriere il 1° febbraio 1975 col titolo Il vuoto del potere in Italia e poi raccolto negli Scritti corsari col titolo che la memoria di coloro che l'avevano letto ormai gli dava: L'articolo delle lucciole - Pasolini aveva parlato del linguaggio di Moro in articoli e note di linguistica (e si veda il primo Empirismo eretico). Ma qui, nell'articolo delle lucciole, la sua attenzione a Moro, al linguaggio di Moro, affiora in un contesto più avvertito e preciso, dentro una più vasta e disperata visione delle cose italiane.
"Come sempre - dice Pasolini - solo nella lingua si sono avuti dei sintomi". I sintomi del correre verso il vuoto di quel potere democristiano che era stato, fino a dieci anni prima, "la pura e semplice continuazione del regime fascista".
L'affaire Moro, Leonardo Sciascia (Sellerio editore)
Il signor nessuno, olio su tela 2007 - Gianluca Salvati |
giovedì 2 maggio 2013
Politica e mafia | La causa Aliberti - 1799. Gennaro Aliberti - Eduardo Giacchetti - Pietro Pansini | Storia dell'intreccio politico mafioso
La causa Aliberti/1799
|| Aspettando l’udienza
Nonostante il caldo enorme, molto pubblico si addensa nel
vasto salone di Castelcapuano aspettando che giunga l’ora del secondo
spettacolo offerto dall’on. Giuoco Piccolo ai cittadini napoletani: uno
spettacolo che dopo un anno si rinnova oggi per colpa di quei magistrati dell8
sezione del nostro tribunale che l’anno scorso non seppero seguire il nobile
esempio di Raffaele de Notaristefani e con un’ambigua sentenza si astennero dall’imprimere sulla fronte del pallido criminale di
Massalubrense il marchio della condanna reclamata con voce concorde dalla
pubblica opinione e dalle risultanze di quel processo. Per colpa di quei
magistrati Gennaro Aliberti, recentemente investito un’altra volta della carica
di consigliere provinciale, può aggirarsi spavaldamente per i locali di
Castelcapuano, sicuro che i magistrati della corte di appello non smentiranno
le tradizioni della giustizia italiana, sanzionando la condanna inflitta all’onesto
Giacchetti. Infatti egli va coi suoi fidi Rota e Gattola Mondella, ostentando
la certezza del secondo trionfo. Ed anche oggi si fa seguire dai migliori
campioni della malavita della sezione Mercato, la quale ha voluto novellamente
testimoniare della solidarietà che la lega a don Gennarino e muovere al suo
soccorso. A completare il corteo manca per ora soltanto Simeoni, trattenuto
altrove forse per celebrare i consueti riti di Sodoma. Quando questi arriva,
don Gennarino gli va incontro tendendogli affettuosamente le mani come per
abbracciarlo, mentre lo stato maggiore camorristico, chiamato a raccolta per l’occasione
solenne, fa ala al loro passaggio, rendendo gli onori (diciamo cos tanto per
intenderci) ai due non troppo onorevoli personaggi.
|| Nell’aula
Alle due e un quarto, ciò dopo una
lunga attesa, l’usciere pronuncia con le sacramentali parole l’ingresso della
Corte. E subito dopo il presidente d la parola all’on. Pietro Pansini, il
quale, rifacendo brevemente la storia del processo, chiede all’accusa se
intende insistere sui motivi presentati all’ultim’ora, che escludono la facoltà
della prova. Dichiara al rappresentante il P.M. che, se la discussione della
prova fosse negata, i difensori saprebbero compiere il proprio dovere. Prosegue
dimostrando la necessità che in questo processo d’interesse pubblico sia fatta
ampia luce. Invita la Corte a decidere sulla limitazione della prova dicendo
che, nella coscienza popolare radicato il convincimento della disonestà dell’Aliberti,
per quanto riguarda l’esercizio del lotto clandestino. Questo processo - egli
dice - un capitolo della nuova storia di Napoli, la quale ha bene il diritto di
sincerarsi dell’onestà dei suoi rappresentanti politici. La casa dell’uomo
politico deve essere come di vetro, in modo che tutti possano vedervi dentro
liberamente. Questo impellente dovere non stato compreso dall’Aliberti e dai
suoi difensori. Entra, quindi, nell’esame dei vari motivi di nullità del
precedente giudizio e accenna con frase felicissima ai volgari espedienti della
parte civile per impedire la prova. Passando all’esame dei testimoni ricorda
che nella lista di essi figurano nomi di uomini superiori ad ogni sospetto come
quelli di Domenico Miraglia, di Giusso, di Saredo, di De Martino, ecc., i quali
non esitarono a dire il loro pensiero sfavorevole alla figura morale di
Aliberti. Accenna ad un ultimo motivo di nullità: quello della malattia del
giudice Puca, per cui il processo doveva rinviarsi. Cita in proposito parecchi
esempi e, dopo aver discusso l’ illegalità della querela presentata ad un
giudice incompetente, conclude augurandosi che la Corte di Appello accolga l’istanza
della difesa. La fine dell’arringa di Pansini calorosamente applaudita dal
pubblico.
|| L’intermezzo Rota
Un intermezzo che comincia con la
lirica intonazione infiorata di motti latini che fanno rimanere attonito l’entourage
piuttosto analfabeta dell’on. Giuoco Piccolo. Babbuino Rota si asciuga il
sudore, beve il primo bicchiere d’acqua e poi comincia promettendo di essere
breve. Il pubblico si mostra lieto di questa buona novella, la quale allontana
il pericolo di una lunga parentesi di noia in quest’ora cos asfissiante. Anche
dal banco della stampa partono amorose occhiate di ringraziamento a Babbuino,
il quale oggi appare pi babbuino del solito, specialmente quando con
invidiabile faccia fresca asserisce che non vi fu alcuna limitazione di prova
per parte di don Gennarino Aliberti. A questa allegra trovata il pubblico
prorompe prima in una sonora risata e poi in proteste, che sarebbero anche pi
sonore se non l’impedisse la presenza nell’aula di un considerevole numero di
poliziotti. Il presidente chiama in soccorso il campanello, ammonisce il
pubblico di non turbare la serenità della giustizia, ecc, ecc, e poi prega
Babbuino Rota di essere pi calmo e di non provocare il pubblico. Babbuino resta
interdetto e continua a sballare castronerie d’ogni colore, fino al punto da
assicurare , come la cosa pi naturale di questo mondo, che a don Gennarino non
pareva vero di rendere possibile una severa indagine su tutta la sua vita pubblica.
Nuove risate dal pubblico e nuovi richiami del presidente. Dimenticando la
promessa di essere breve, fatta in principio, parla lungamente senza concludere
nulla e annoiando tutti coloro che hanno la sventura di ascoltarlo. L’eloquenza
di Babbuino con questo caldo addirittura insopportabile. Essa fa sbadigliare
perfino l’usciere, il giudice Oberty e Gattola Mondella, i quali, a quanto ci
si assicura, sono i soli ammiratori dell’illustre avvocato. Finalmente, come il
Signore Iddio vuole, Babbuino Rota finisce ed il pubblico caccia un grande
respiro di soddisfazione. Durante la sua arringa il chiaro uomo non ha fatto
altro che leggere la memoria stampata di Simeoni. Quest’ultimo aggiunge poche
parole a quelle del suo collega della P.C., e poi finisce anche lui chiedendo
che la Corte non accolga la richiesta della difesa. A questo punto l’udienza
viene sospesa per cinque minuti.
|| Il seguito dell’ udienza
Riapertasi
l’udienza il P.M. comincia la sua arringa con la quale respinge tutti i motivi
di nullità presentati dalla difesa. Da questo magistrato che ha voluto cos
palesemente rendersi solidale coi nominati Rota e Simeoni noi non ci
aspettavamo una serena parola di giustizia. Ed i fatti ci hanno dato ragione.
Aspettiamo ora la decisione che venerdì prossimo dovranno pronunziare i
consiglieri di appello, augurandoci che essa non violi gl’interessi supremi
della giustizia e della moralità.
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Uomo, olio su tela 2007 - Gianluca Salvati |
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